Musiche della vita
Questo è stato uno dei primi approcci al mondo musicale attraverso gli occhi e le orecchie di mio padre, che ho raccontato nel mio libro-memoir. La Musica mi ha accompagnato per tutta la vita attraverso un percorso anche difficile, ma appassionante, sempre.
Questo era il libretto originale, letto con fatica prima di andare all’Opera, ancora in mio possesso insieme a molti altri.
“Ci vai tu con papà a teatro stasera …leggi bene il libretto, non addormentarti, l’opera è molto lunga, fai un riposino nel pomeriggio, mi raccomandava mamma”. Erano le semplici regole, che ancora in parte rispetto. Presi il libretto dell’opera. Si vedeva che era stato molto usato, la copertina leggera era decorata da una grande cornice con disegni di tralci e foglie. Al centro il titolo: “La Walkiria” di Riccardo Wagner. Le Walkirie le avevo già incontrate. In casa c’era il disco con la famosa cavalcata, un brano di musica impressionante, con quelle voci femminili che si sopraffacevano in gara una con l’altra quasi gridando. Ogni volta che ascoltavo quel brano mi venivano in mente torme di cavalli in fuga per pianure selvagge; invece si trattava solo dei violini che suonavano all’impazzata. Quel disco era molto rigato, sfinito dall’uso come il libretto.
Feci fatica a leggere il libretto da capo a fondo, saltando alcune pagine e qualche nome tedesco quando: che sorpresa! Ecco comparire una vecchia conoscenza: Brunhilde era una delle Walkirie, la figlia prediletta di Wotan, padre immortale di eroi, che disubbidisce, rinuncia a quel mondo di dei e dee, diviene mortale per conoscere la vita, l’amore. ‘La perfida Brunilde’, senza l’acca, era il mio soprannome. Me l’aveva dato papà, e non ne capivo, allora, il perché.
Avevo solo dieci anni e non ero preparata per quella serata; oltre alla curiosità per i vestiti eleganti delle signore, ero piena di emozione. Tutte le ansie passarono appena entrai all’interno della grande platea. Era tutto luccicante, rosso e oro, alzando gli occhi mi incantai a decifrare le figure dipinte sul soffitto a cupola, illuminate dal grande lampadario di cristalli di Boemia. Papà parlava, io guardavo intorno quella meraviglia e non l’ascoltavo. Ci sedemmo ai nostri posti. L’ingresso del direttore d’orchestra fu accolto da calorosi applausi e anche io battei le mani; la musica ebbe inizio e il sipario si aprì su una scena quasi nuda: cominciò per me un bellissimo viaggio. Non pronunciammo neanche una parola durante quelle lunghe ore piene di musica e canto. Quando Wotan nel finale bacia la figlia addormentata e le dice addio, con una romanza che mi intenerì, papà aveva allungato la mano e aveva preso la mia stringendola per un attimo; era un gesto che conoscevo bene, perché spesso era rivolto a mamma, lei di solito lo respingeva con delicatezza.
A proposito di Musica, Giacomo Puccini
Papà amava Puccini, la sua musica e me lo ha fatto amare.
Diceva:” …dammi il braccio o mia piccina…” oppure: “Colline sei morto?” a volte: “…siamo all’ultima scena”, sempre in sintonia con qualcosa che succedeva fra di noi prima bambini, poi ragazzi. Citava frasi anche da opere di Verdi ma più per prendere in giro quei librettisti: “…sento l’orma dei passi spietati…”. Quando Puccini morì, papà aveva già ventidue anni, era nel pieno della giovinezza, un universitario appassionato.
Ci siamo abituati fin da piccoli a maneggiare quella musica e quei versi di Illica e Giacosa, come fossero amici di casa. Due autori teatrali un po’ negletti ma davvero grandi, raffinati e adatti al pensiero che aleggia dentro quella musica che sa di amore e morte. Puccini amava Giacosa che traeva i suoi spunti dal nuovo in Europa: Ibsen, Zola.
Conservava tra gli altri, uno spartito canto e pianoforte de “La fanciulla del West” molto sciupato dall’uso. Così era il disco con la voce di Beniamino Gigli che cantava: “…ch’ella mi creda … “. Ancora oggi mi commuovo.
Un’opera considerata rara, poco eseguita ma che lui, da pucciniano convinto, amava e ascoltava trasformandosi e poi mi suggeriva di ascoltare la “Sinfonia del nuovo mondo” di A. Dvorak.
Sì, la musica viaggiava, camminava con lui, lo trasportava in riva alla Senna, nei deserti australiani, in occasioni indimenticabili fin dentro il Valhalla.
Con Bohème entri subito al centro della storia, non ci sono barriere, il gesto d’attacco del maestro con conosce pause, attese, intervalli. Anche se conosco, di quest’opera, ogni verso e ogni frase musicale, dovunque io l’ascolti è sempre una prima volta, perché ogni nuovo ascolto è una scoperta, un ritrovamento.
I registi non dovrebbero inventare nulla, e meno che mai sovrapporsi alle intenzioni dell’autore, alla musica che dice già tutto e quando poi la materia canora è alta solo suggerire ai cantanti un po’ più di recitazione. Oggi è possibile. Non capita più di vedere in palcoscenico un solista immobile dalla prima nota all’ultima della sua romanza, oggi i cantanti sono capaci di cantare gestendo con uno stile che avvicina il teatro, il cinema. Non so se è un bene, ma qualche volta funziona.
Per tornare a Bohème ce ne sarebbero di cose da dire.
In casa c’era il romanzo, “Vita di Bohème” di Murger e io lo lessi nonostante fosse tra i libri proibiti da mia madre; a papà non interessava, per lui potevamo leggere tutto e non mi meravigliai quando ritrovai la sua trama, non proprio uguale, nell’opera di Puccini.
A Bohème si piange e tanto, più che a Traviata, e non è poco, ma quelle lacrime sono una compensazione, rimettono in equilibrio quello che cinque minuti prima non lo era e liberano una fetta non sottile di noi stessi che è fatta di malinconia e di dolore. La forza terapeutica della Musica!
Fu troppo famoso e popolare e questo non giovò alla conoscenza della sua genialità musicale. Qualcuno disse che aveva inventato il Festival di San Remo.
Aveva abolito l’ouverture, le romanze non erano più tripartite, recitativo, aria, cabaletta finale. Si accorciavano diventavano un tutto unico, era più facile, dico io, ottenere un bis.
“Gioventù mia, tu non sei morta né di te è morto il sovvenir”
I versi forse non sono proprio così ma questo è il succo di tutta l’opera. La frase è pronunciata da Marcello proprio nell’impeto di una furia amorosa con un crescendo musicale intriso di passione sensuale senza mezzi termini.
Riascoltare Pavarotti che racconta la trama di Bohème è commovente e un po’ imbarazzante, ma a un talento di quel genere si perdona tutto.
Non posso non menzionare la bella regia di Zeffirelli, un vero e proprio film. La direzione musicale di von Karajan, le voci di Freni e Raimondi e gli altri……secondo Elvio Giudici la migliore.
Ho avuto la fortuna di realizzare le riprese di “Gianni Schicchi” per la Rai, fu come un premio per me e per la mia, non segreta passione per il Maestro Puccini. Nei panni del protagonista c’era Rolando Panerai che diventò un mio grande amico e poi…
Nota aggiunta molto personale
Nicolas Cage seduce Cher con la musica di Bohème e la luna piena nel bellissimo film, premio Oscar: “Moonstruck/Stregata dalla luna” regia di Norman Jewison fu candidato all’Oscar. Il nonno siciliano della famiglia è interpretato da Fjodor Scialiaplin jr, erede di uno dei più grandi ‘bassi’, una voce mito della musica russa e universale.
Nel 1973 la Rai trasmise lo sceneggiato diretto da Sandro Bolchi, apprezzato regista sempre all’avanguardia, usò le Electronic-cam per la prima volta, per un risultato quasi cinematografico e direttamente nei luoghi dove quella storia si era svolta.
PUCCINI (1973) Regia di Sandro Bolchi. Sceneggiatura di Dante Guardamagna. Consulenza di Mario Labroca ed Enzo Siciliano. Scene e costumi di Ezio Frigerio. Regia delle opere liriche: Beppe De Tomasi. Scene e costumi: Carlo Tommasi, Franca Squarciapino.
Cinque puntate di 65 minuti circa ciascuna.
Interpreti principali: Alberto Lionello (Puccini), Ilaria Occhini (Elvira, moglie di Puccini), Tino Carraro (Giulio Ricordi), Vincenzo De Toma (Luigi Illica), Mario Maranzana (Giacosa).
Prestano le loro voci i Cantanti: Mario Del Monaco, Tito Gobbi, Clara Petrella.
Un’ombra, un capitolo scabroso nella vita del Maestro, quello della presunta relazione tra Puccini e Doria la giovane cresciuta in casa, adoratrice del Maestro che muore suicida.
Ragazza era ammaliata e illusa, fragile, Elvira persecutrice ne fa una vittima. Doria diventa l’ispiratrice, col suo gesto estremo, per il personaggio di Liù in Turandot.
Sibyl Seligman, interpretata nello sceneggiato da Ingrid Thulin, lo accompagnò fino alla morte, confidente e consigliera.
Nel finale dello sceneggiato la scena con Toscanini che appoggia la bacchetta sul leggio e dà il silenzio all’orchestra a significare la morte dell’Autore è davvero commovente. “Turandot” resterà opera incompiuta finché non ci metteranno mano
prima Alfano poi Berio, meglio, a scriverne il finale seguendo lo stile e le istruzioni del Maestro.
“Puccini e la Fanciulla”, il pensiero mi va subito a Schubert e alla sua “La morte e…”
150° della nascita di Giacomo Puccini.
Il regista Paolo Benvenuti, avvalendosi della collaborazione della moglie Paola Baroni, ha reso omaggio al musicista portando alla luce una vicenda intima e misteriosa, in cui l’uomo rimase suo malgrado coinvolto. Un equivoco spinge Elvira, la moglie di Puccini, a sospettare che il marito abbia una relazione con Doria, la loro cameriera; ferita nell’orgoglio, Elvira sfrutta la sua posizione sociale superiore rispetto a quella della povera ragazza per infliggerle umiliazioni. La giovane cameriera, incapace di reagire, finisce per suicidarsi. (Mai distribuito in Italia)
Notina.
Il mio contributo è legato ai miei anni di RAI e alla fortuna di aver avuto un papà musicale. Quando fu realizzato il Puccini televisivo, io ero già da più di dieci anni in RAI; ricordo Bolchi e Guardamagna, mi sembravano due giganti. “I Fratelli Karamazov”, “Tragedia americana” ecc. mitiche produzioni di quegli anni: qui ci vorrebbe la mia amica Campolonghi…