Il mio ricordo di Andrea Camilleri
Per anni ho condiviso la stanza con Andrea.
Eravamo alla RAI e la sezione Prosa di RAI2 era collocata alla fine di un corridoio, nel modernissimo Palazzo del cavallo, in viale Mazzini 14. Dalle finestre vedevamo i giardini e un lato della Chiesa dedicata a Cristo Re.
Ero diventata programmista-regista, così si diceva allora e seguivo programmi di teatro o fiction televisive. Il nostro capo Struttura, era un uomo colto e sensibile, molto amico di Andrea, che stimava moltissimo; la sua competenza in fatto di attori, le sue analisi delle proposte di programmi o di una sceneggiatura e la profonda conoscenza del mondo dello spettacolo lo rendevano necessario in quel settore.
Andrea arrivava in ufficio la mattina poco dopo le dieci, la giacca di velluto a coste o di tweed pesante, un foulard invece della cravatta, tra le dita una sigaretta, bello sbarbato, lasciava dietro di sé una un piacevole sentore di acqua di colonia, un profumo antico.
Io rispondevo al telefono anche per lui. La mia scrivania coperta di carte, sempre in disordine era di fronte alla sua, priva di carte o raccoglitori, senza un filo di polvere. Non sapevo che i cassetti erano pieni, stracolmi di testi e idee.
” Guarda ti ha chiamato tizio, è la terza volta, vuole che lo richiami”. Qualche volta erano nomi che mi intimorivano: registi, scrittori, attori.
“…lascia perdere offrimi un caffè”; così andavamo insieme all’ottavo piano dove c’era uno dei più bei bar di Roma, lo posso dire. Le grandi finestre a vetri permettevano di ammirare un panorama a 180 gradi e sopra i tetti tutti intorno spiccava la Cupola, sappiamo tutti quale, mi rincuoravo sempre e mi sentivo bene. Con noi c’era spesso il nostro capo o qualcuno che aspettava già in corridoio per parlare con Andrea.
Grazie ad Andrea ho approfondito la mia conoscenza e il mio amore per il Teatro, ma se fosse rimasto più a lungo in ufficio avrei imparato tanto e molto altro senza troppa fatica. All’ora di pranzo se ne andava in Accademia o a qualche riunione di sceneggiatura e non lo rivedevo fino al giorno dopo.
Durante quegli anni, è stata una fortuna lavorare con lui.
La Rete aveva scelto un suo soggetto dal titolo “La mano sugli occhi”. Andrea lo sceneggiò e andammo a girarlo fino in Sicilia, lavorammo fianco a fianco nelle campagne e vicino al mare di Porto Empedocle. Era molto affezionato alla sua famiglia, quello che ne restava nella città natale, e ce la fece conoscere specialmente uno zio, proprio simpatico, al quale era molto affezionato e che gli aveva ispirato il soggetto.
Abbiamo fatto molti lavori ancora insieme ed ho imparato tanto da lui.
Abbiamo girato ancora un altro suo soggetto, “Western di cose nostre o Il corso delle cose” Una collaborazione con Leonardo Sciascia che a quel tempo mi sembrava lontano e irraggiungibile.
Mi ha fatto diventare un’esperta di attori siciliani e anche calabresi. Ricordo benissimo Leopoldo Trieste timido e impacciato com’era il suo personaggio, grande attore, caro.
Piccola parentesi. Aveva capito che mi ero innamorata, me l’aveva presentato lui. Mi mise in guardia, ma io non l’ascoltai. Fu un periodo triste e felice e finì. Mi rifugiai nel lavoro. Andrea non commentò.
La sua passione per il racconto giallo era tangibile, Ho letto, grazie a lui, tutto Simenon, non solo Maigret, che lui aveva contribuito a far conoscere grazie alle sue sceneggiature, tradotte poi per il piccolo schermo, dei veri capolavori attoriali. Come non citare i due protagonisti: Gino Cervi e Andreina Pagnani.
Poi sono stata richiesta in un altro settore, ma sono rimasta in quella stanza al 4^ piano, succedeva spesso nelle nostre ‘carriere’: passai agli acquisti dall’estero di fiction e soap-opera (un genere del tutto nuovo e un po’ problematico) e quando ci vedevamo lui mi prendeva sempre in giro e scherzavamo raccontando il baratro tra i generi televisivi. Dedicarmi a questo settore mi permise di specializzarmi, e avendo tempo libero, per dedicarmi a programmi di Musica.
Gli ho mandato un mio libro di memorie circa due mesi fa, e mi ha promesso di farselo leggere da qualcuno, mi rammarico di non avergli proposto di leggerglielo io. Peccato!
Quegli anni ’70-’80, furono così vivaci, creativi e pieni di stimoli perché nella grande Azienda pubblica c’era gente come lui e potrei nominarne tanti altri e mi sento molto fortunata di averli incontrati e imparato tanto da loro. Ma sarebbe lunga, lunghissima, ci vorrebbero molte pagine.
L’ho incontrato, ero già in pensione, un fugace incontro dietro la Rai e dopo i saluti, era sempre affettuoso, interessato come un tempo:“Allora che fai?”, ed io “Caro Andrea ne faccio tante!” (ed era vero per riempire il vuoto dal lavoro devi fare).
Mi è rimasta impressa la sua risposta: “Cara Tullia, fai di più.”
Quella risposta dice molto di lui.
Questo scritto risale al periodo della sua morte, luglio 2019 anno per me fatale, dopo ho avuto contatti con Mariolina, curatrice della sua eredità. Poi silenzio e allora mi è venuta voglia di dire qualcosa.
Aggiungo un aneddoto, era perso nel ‘dimenticatoio’ della memoria di un’ultrasettantenne.
“4 in Italiano”
Lo racconto perché sono sicura che sarebbe piaciuto anche a lui riandare a quei tempi del quarto piano di viale Mazzini.
Ecco la storia: mio nipote liceale, brillante nelle arti tennistiche e piuttosto sprovvisto di cognizioni in campo letterario, doveva fare un tema su Luigi Pirandello, un tema vasto e il titolo molto vago.
Io lo aiutavo spesso nei compiti che riguardavano le materie letterarie e stavolta ero un po’ impacciata anch’io.Idea geniale! Potevo chiedere ad Andrea di aiutarmi e almeno per sommi capi di darmi una traccia per uno svolgimento del tema. Fu generoso e scrisse per me un tema storico-critico descrivendo a fondo quello scrittore, genio e orgoglio della sua terra.
Io lo rimaneggiai per renderlo più credibile come se fosse uscito dalla penna di uno studente, ma non fui troppo brava. Il testo mi piaceva tanto e allargava la mia visuale su quell’autore visto dal suo punto di vista. Peccato non averlo conservato. Il professore di Lettere non se ne compiacque troppo, certamente si sentì imbrogliato e a quei tempi non ne avrebbe apprezzato neanche la ‘fonte’ e il voto fu 4(quattro).
Con Andrea ne parlammo, non per criticare il giudizio, ma facemmo ammenda riflettendo sul fatto che scrivere per e come un ‘liceale’ è quasi più difficile di stendere la trama di un romanzo.
Questo è tutto per ora, se la memoria mi aiuterà aggiungerò altro.
Un pensiero riguardo “Il mio ricordo di Andrea Camilleri”
Grazie Tullia …. quanta poesia c’è in questi ricordi , sembra di essere con voi , che lavoro meraviglioso hai fatto.